
Voi scrivete da fuori quella porta.
Io invece da dentro.
Voi potete solo immaginare, scrivere articoli in cui riportate le parole di Fedez, riapparso dopo settimane di silenzio social. Riapparso per spiegare cosa l’ha tenuto lontano da tutto, spiegare che ha dovuto prendersi cura della sua salute mentale e sospendere uno psicofarmaco che gli dava pesanti effetti collaterali (ad esempio le balbuzie di cui i giornali parlavano la scorsa settimana dopo la sua diretta radiofonica), ha dovuto abbandonare la strada più semplice, perché a come ci spiega, la strada più semplice sono stati i farmaci l’indomani della sua battaglia col tumore.
Ho letto decine di articoli su di lui in questi giorni, da Sanremo in poi, apprezzandone davvero pochi, perché in pochi era evidente la sensibilità di ricondurre tutto lì, al punto zero.
Il punto zero per me è stato quando seduta di fronte ad una dottoressa dal cognome equino mi ha detto che sì, nel mio seno c’era un tumore aggressivo. Il mio punto zero è diverso ed al contempo identico a quello di tantissime persone a cui viene fatta la diagnosi di tumore.
C’è un prima. E poi c’è un dopo.
Fedez ha ripreso ad allenarsi, a lavorare, a sorridere a favore di camera. Ed ha fatto tutto nel migliore dei modi. Eppure guardandolo mi chiedevo in quale angolo di quella casa lasciasse uscire i suoi demoni.
I suoi timori.
Il punto zero ci presenta la paura, diventa la nostra compagna di viaggio ed anche se in alcuni momenti ci sembra che sia lontana, in realtà basta volgere lo sguardo con più attenzione per vederla sempre accanto a noi. Siede attorno al nostro tavolo, si addormenta con noi, si sveglia con noi. Non ci lascia.
Oggi scopriamo che Fedez per farla tacere, questa paura, ha abusato di psicofarmaci, li ha cambiati in un susseguirsi di pillole alla ricerca di quella che le avrebbe tappato la bocca più a lungo. Addormentandola.
Ma il prezzo da pagare per quel sonno innaturale stava diventando troppo caro, ed ha deciso di affrontarla.
Oggi sceglie di guardarla negli occhi affinando gli strumenti per non lasciarsene sopraffare, come la psicoterapia.
Oggi Fedez sceglie la vita. Io l’ho scelta mesi fa, quando mi sono resa conto di aver bisogno di una stampella a cui poggiarmi.

La malattia ci stravolge. Ho pensato di uscirne con le mie gambe per poi capire che non se ne esce mai davvero, per capire che la mia malattia affonda le proprie radici anche nelle persone che amo ormai.
Nei miei figli, in mio marito. Quindi, nel suo caso, in Chiara ed in quei bambini che inconsapevolmente hanno temuto per il proprio papà.
I bambini sviluppano proprie difese, i miei erano dei bambini e sono oggi degli adolescenti, arrabbiati, chiusi, impauriti. Quanto di quello che sono sarebbe stato comunque così? E quanto deriva invece dal punto zero? Non possiamo fare a meno di chiederci quale siano state le conseguenze del punto zero, perché alcune si dipanano davanti ai nostri occhi solo molto tempo dopo.
Io penso che pochi di quelli che scrivono possano davvero sapere cosa ci sia nel cuore di Fedez, pochi di voi sanno cosa significa convivere con questa paura che ci tiene a braccetto. Abbiate sempre rispetto per chi rinasce, perché deve imparare a camminare con un bagaglio sulle spalle, cercando un nuovo equilibrio con molta fatica. Siamo stanchi. Dovete capirlo bene.
Siamo umani, tenetelo sempre a mente.
Non siamo eroi, non siamo eroine. Ma abbiamo un peso specifico maggiore di prima perché in noi alberga la paura. Essa ci rende anche migliori, liberi, sfrontati, vivi nel qui ed ora; sebbene fragili.
Vi scrivo da dentro quella stanza, perché è da li che non si esce uguali a sé stessi, ed è da lì in poi che ogni sguardo rivolto ai nostri figli sottende la voglia di fissare un fotogramma, di imprimere un ricordo, di pregare di vederli crescere.
Noi vogliamo solo questo, vederli crescere.
Dietro la radio, i vestiti, i programmi tv… Fedez ha i miei stessi occhi, che ho gli stessi occhi di migliaia di persone come noi. Gli occhi di chi si alza da quella sedia, esce da quella stanza e prova a trasformare il punto zero in una rinascita. Gli occhi di chi fa i conti con l’ombra della paura. Gli occhi di chi però impara a dare il giusto peso ad ogni singola cosa da li in poi, non perdendo nulla. Nulla del bello che c’è.
Gli occhi di chi non finisce un viaggio ma anzi lo inizia. E lui oggi vuole proseguirlo senza aiuti chimici, ma solo prendendosi cura di sé, della sua anima.
Ci allontaneremo da quel punto zero. Ma mai tanto a lungo da tornare quelli di prima forse.
Ci siamo alzati da quella sedia uscendo dalla stanza, eppure guarda… Il calco di ciascuno di noi è lì che resta. Come il velo di rugiada all’alba del nuovo giorno. Come una sottoveste che s’impiglia sulla sedia e che ci auguriamo di non indossare mai più.
Vai Federico vai. Lontano da lì.